venerdì 19 settembre 2008

"Lu fezzaluru"

E' arrivato Settembre, tempo di vendemmia e di vinificazione. Oggi tutto ciò che ruota intorno al vino e alla sua preparazione viene curato in maniera discreta e asettica in stabilimenti appropriati e sono veramente pochi coloro che hanno ancora a disposizione una cantina per approntare una personale riserva di buon vino casalingo. Un tempo, invece, in questo periodo tutte le strade erano sature di profumi intensi di mosto e di fermentazione ed era fatto obbligo, passando davanti ad una casa aperta dove i proprietari erano intenti alla lavorazione dell'uva, augurare a voce alta "SANTU MARTINU!", a cui si doveva rispondere necessariamente "alla vinuta!", pena una grave offesa a San Martino, il quale poteva influire negativamente sulla produzione de "lu mieru".
Ricordando i tempi in cui la scuola iniziava ad Ottobre e anch'io partecipavo, con le mani e con i piedi, al rito della vinificazione, mi è tornata in mente la figura del "Fezzaluru", di cui peraltro ho solo sentito parlare, visto che non esiste più da almeno sessant'anni. Era costui uno dei tanti disperati che si adattavano a fare lavori "ca mancu li cani", pur di racimolare qualche misero soldo e la sua specialità consisteva nella lavorazione della "fezza", la feccia rimasta dopo la spremitura dell'uva o nelle botti dopo che il vino limpido veniva tolto. La feccia raccolta veniva messa in sacchette di canapa e compressa una prima volta per far fuoriuscire il vino ancora limpido o quasi, poi le sacchette venivano accuratamente sistemate nella "forata", un torchio di legno e ferro, in cui avveniva la spremitura. Al proprietario andava il vino risultante, mentre il compenso per lu fezzaluru era la feccia, estratta dal torchio ormai secca e dura che, sbriciolata grossolanamente, veniva messa ad essiccare al sole. Quando il torchio non c'era, piccole quantità di fezza si mettevano in un sacco di tela appeso al soffitto della cantina con sotto un tino che doveva essere svuotato almeno ogni mezz'ora, per evitare che l'alcool evaporasse. Il vino raccolto in questo modo era però di qualità tale che quando si assaggiava un bicchiere di vino veramente cattivo si usava dire "quistu è vinu te culaturu". Altro compito del fezzaluru era quello di rimuovere il tartaro dalle botti che per lungo tempo avevano contenuto il vino. Attraverso una piccola "portella" grande solo quel tanto che bastava a far entrare l'ometto nella botte senza camicia e con manovre da acrobata, lu fezzaluru si sistemava all'interno del recipiente munito solo di una candela e "de lu zappieddhru", un'attrezzo a forma di piccolissima zappa, con all'altra estremità una sorta di piccolissima accetta e con questo e un'infinita pazienza rimuoveva tutto il tartaro dalle pareti. Dopo qualche ora di estenuante lavoro lu fezzaluru poteva portarsi via qualche chilo di residui che vendeva, assieme alla feccia secca a commercianti che rifornivano le aziende chimiche per l'estrazione del cremor tartaro.
Tutto questo sembra ridicolo, al giorno d'oggi, ma è altrettanto ridicolo non sapere mai esattamente cosa si sta bevendo quando si beve del vino, a meno che non si spenda un patrimonio per gustare quello che fin dall'antichità è stato un piacere e un sostegno per l'umanità.
Comunque speriamo almeno che l'annata corrente sia ottima così da poter brindare assieme a voi trascorrendo un'allegra serata in locanda.
A presto!

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